Le parole di George W. Bush del 2001, “O sei con noi, o sei con i terroristi,” hanno segnato un’era polarizzante nella politica estera degli Stati Uniti che sembrava svanire nella storia—fino ad ora. L’invasione russa dell’Ucraina nel 2022 ha riacceso questa netta dicotomia globale, con le poste in gioco che crescono man mano che le forze di Vladimir Putin continuano una guerra brutale e ingiustificata. L’ampiezza delle azioni della Russia ha galvanizzato un mondo fratturato in due campi, costringendo le nazioni a decidere da che parte stare riguardo alla sovranità nazionale, all’aggressione e ai limiti del potere.
Contrariamente all’annessione relativamente indolore della Crimea nel 2014, l’invasione su larga scala dell’Ucraina da parte della Russia—con i suoi attacchi aerei, offensive di carri armati e atrocità documentate—ha scatenato una reazione internazionale. La feroce resistenza degli ucraini, guidata dal presidente Volodymyr Zelensky, ha sfidato le previsioni di un rapido crollo, galvanizzando l’opinione pubblica globale contro l’aggressione del Cremlino. Lo storico Timothy Snyder l’ha descritto in modo toccante: “Quando la Russia ha iniziato la sua invasione su larga scala… il consenso americano era che l’Ucraina si sarebbe sgretolata in pochi giorni… Invece, [Zelensky] è rimasto… ha unito il suo popolo e ha supervisionato la difesa di successo del suo paese.”
Per gran parte del mondo, inclusa una schiacciante parte dell’opinione pubblica in Europa e nel democratico Occidente, questa è una lotta tra Davide e Golia, una battaglia morale per difendere i confini e la sovranità democratica. Le nazioni occidentali, in particolare quelle in Europa, che portano il peso delle aggressioni del XX secolo, hanno risposto con sanzioni senza precedenti, fornendo armi all’Ucraina e stringendo nodi economici intorno alle élite russe. Tuttavia, questa chiarezza morale ha incontrato resistenza da parte di potenze globali come la Cina, che ha evitato di condannare Mosca apertamente, ripetendo persino il punto di vista della Russia secondo cui l’espansione della NATO giustificava le sue azioni. La posizione della Cina, tuttavia, è scomoda, dato il suo stesso linguaggio di sovranità e non intervento.
Timothy Snyder indica un alleato peculiare per la posizione della Cina: l’ex presidente degli Stati Uniti Donald Trump, che non solo minimizza l’aggressione della Russia ma definisce il conflitto una “truffa.” L’approccio di Trump rispecchia l’evasività della Cina sulla responsabilità russa, rivelando una strana simmetria tra i calcoli di Pechino e la visione centrata sull’America di Trump, che ignora del tutto la sovranità ucraina.
Con il protrarsi della guerra, il tacito sostegno di Pechino a Mosca, insieme alla narrativa mediatica pro-russa della Cina, è diventato un onere per la sua immagine di “nazione amante della pace.” L’amicizia “senza limiti” sino-russa, un tempo una partnership strategica contro il dominio degli Stati Uniti, ora affronta un esame globale. Nel frattempo, il disinteresse di Trump per la sofferenza ucraina mette in evidenza una sfida più ampia: come si mobiliterà il mondo a sostenere la sovranità e la democrazia se voci influenti minimizzano l’aggressione?
Con la crescente pressione, sia la Cina che i leader globali si trovano di fronte alla rinnovata domanda: “Siete con noi contro l’aggressione e l’autoritarismo, o rimarrete inattivi?”